Ci sono circa 114 milioni di euro, stanziati per il superamento degli insediamenti abusivi dei braccianti agricoli in Capitanata, bloccati da quasi tre anni. La misura del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), assegnata alle amministrazioni comunali incaricate di redigere i progetti, poneva al centro il recupero di «soluzioni alloggiative, di trasporto, di assistenza sanitaria e d’istruzione, dignitose per i lavoratori del settore agricolo». Il fine, quello di togliere potere contrattuale ai caporali affrancando migliaia di braccianti dallo sfruttamento. Circa 7mila quelli stimati in un territorio in cui insistono gli «insediamenti informali» più popolosi di Italia.
L’ex pista aeroportuale di Borgo Mezzanone nella provincia di Manfredonia, che arriva durante il picco della produzione agricola fino a 5mila abitanti, e l‘insediamento di Torretta Antonacci, che arriva a ospitare durante la stagione estiva fino a 2.500 lavoratori agricoli. Proprio quest’ultimo, individuato dal rapporto di ricerca sulle «Condizioni abitative dei migranti che lavorano nel settore agroalimentare», del ministero del Lavoro in collaborazione con l’Associazione nazionale comuni italiani, risulta essere uno degli 11 ghetti in vita da più di 20 anni. Formatosi nei primi anni 2000 come agglomerato temporaneo in provincia di San Severo, oggi Torretta Antonacci è quanto rimane dell’ex Gran ghetto di Rignano Garganico.
Lì, un incendio divampato a margine dello sgombero del 2017, uccise due braccianti maliani. 27 i milioni di euro stanziati per il superamento della condizione di ghetto in quel territorio. 53 quelli destinati all’ex pista di Borgo Mezzanone e più di 22 per i ghetti di San Marco in Lamis, Poggio Imperiale, Lesina, Cerignola, Carapelle e Carpino. Tra lamiere, container, polvere e baracche realizzate con materiale di risulta, gli operai stranieri dei campi sono costretti a vivere a ridosso dei luoghi di lavoro, in un luogo che nessuno dovrebbe chiamare casa, muovendosi tra strade dissestate e poco illuminate che a volte possono costare la vita. Come accaduto a Tounkara Karamoko, ventottenne maliano, ucciso e non soccorso da un’automobile mentre guidava uno scooter a pochi chilometri dall’ex pista di Borgo Mezzanone a inizio settembre.
In prefettura, a Foggia, continuano ad avvicendarsi e a risolversi in un nulla di fatto gli incontri tra il commissario straordinario nazionale, nominato dal governo per fronteggiare l’emergenza, e i sindaci del territorio. Ma chi effettivamente, una volta realizzati, potrà abitare i nuovi insediamenti? Secondo Francesco Saverio Caruso, delegato sindacale a Foggia dell’Unione Sindacale di Base (Usb) impegnato soprattutto nella tutela dei diritti dei braccianti, nella lotta al caporalato e allo sfruttamento lungo la filiera agricola, i fondi Pnrr per i territori nascondono un vizio di forma.
«Potremmo essere di fronte all’ennesimo grande sperpero di denaro pubblico. Pensano che il problema sia costruire alloggi ma con i 27 milioni indirizzati a Torretta Antonacci potrebbero costruire resort di lusso con piscina, campi da tennis e da golf. La questione è un’altra, a chi sarebbero destinate le strutture? Quando termina la stagione della raccolta del pomodoro, che in tempi ristretti richiede la disponibilità di molta manodopera, mediamente, nel ghetto della piana agricola di San Severo, ci sono circa 1500 persone. In queste campagne viene coltivato più di un terzo dei pomodori prodotti in Italia, eppure, l’80% dei braccianti a Torretta Antonacci, è in possesso di documenti prossimi a scadenza. Di fatto si può già dire ne sia priva. Anche qualora gli insediamenti informali, come piace chiamarli a loro, fossero rasi al suolo, l’ingresso nei nuovi insediamenti spetterebbe solo ai migranti regolari. Sarebbero strutture fantasma».
E infatti, di braccianti agricoli regolari in Capitanata, ce ne sono pochi. L’abolizione del permesso di soggiorno per protezione speciale (dl Cutro) e la spinta alle espulsioni, hanno generato non poche conseguenze in un contesto già marginale. «A Torretta Antonacci i braccianti, perlopiù uomini provenienti da paesi subsahariani, con Mali, Burkina Faso e Guinea Conakry in testa, sono in possesso di documenti riconosciuti solo in quanto sottoposti a protezione speciale. La misura, per il dl Cutro, non è né rinnovabile né tantomeno convertibile in un permesso di lavoro. Inoltre, nonostante la reintroduzione dell’espulsione, non esistono accordi di rimpatrio con i paesi dell’Africa subsahariana. Di fatto questi lavoratori sono condannati al limbo: non espellibili né tantomeno riconosciuti dal paese in cui lavorano».
Insomma, secondo Caruso, «il governo, parallelamente all’infrastruttura ghetto, dovrebbe mettere mano a questa bomba a orologeria pronta a esplodere. La concentrazione demografica nei ghetti oscilla a seconda delle politiche di governo. Oggi siamo di fronte ad una fabbrica della clandestinità, altro che superamento degli insediamenti informali. I ghetti, a queste condizioni, non possono che moltiplicarsi e crescere di dimensioni»
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