Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, sarà in Acciaierie d’Italia, l’ex Ilva, il 16 ottobre per la riaccensione dell’altoforno 1 fermo da mesi.
Urso premerà il pulsante che dalla sala comandi dell’impianto fa partire l’aria calda nelle tubiere. In queste viene infatti iniettata l’aria ad una temperatura superiore ai mille gradi che poi dentro l’impianto reagisce chimicamente col carbone. Urso aveva già annunciato giovedì, nel videomessaggio per gli 80 anni di Confindustria Taranto, che sarebbe tornato a giorni. Adesso c’è la data della visita. Possibile che Urso abbia un momento di confronto con quanti saranno presenti al riavvio dell’altoforno 1. Aspetto che sarà precisato in fase di organizzazione.
Le visite precedenti
Quella del 16 sarà la terza visita di Urso a Taranto in un anno. Il ministro è già venuto a fine febbraio, subito dopo il commissariamento e la nomina di Giancarlo Quaranta (Giovanni Fiori e Davide Tabarelli furono nominati alcuni giorni dopo), quando il siderurgico aveva appena evitato il rischio di spegnersi completamente, con un solo altoforno al minimo e con le scorte di materie prime per altri quattro giorni. Il ministro è poi tornato a fine luglio, qualche giorno prima che venisse lanciato il bando di vendita di Acciaierie d’Italia, per inaugurare la casa del Made in Italy, nel palazzo delle Poste Centrali, avere una serie di incontri in Prefettura e infine partecipare alla festa del sindacato Usb.
Urso a metà ottobre vuole evidenziare che la fabbrica, malgrado tante questioni ancora aperte, probabilmente si è messa alle spalle il periodo più buio. E la riaccensione di un altoforno, che va ad affiancarsi a quello già in marcia (il 4), in attesa che un altro (il 2) riprenda nei primi mesi del 2025, vuole esprimere il senso concreto della ripartenza, che è poi il termine usato dai commissari nel loro piano da 320 milioni col quale hanno mappato i principali stabilimenti e indicato per ciascuno le cose urgenti da fare. Con l’altoforno 1 in attività insieme al 4, AdI conta di chiudere quest’anno con una produzione di ghisa pari a 1,9-2,2 milioni di tonnellate. Con la ripresa dell’altoforno 2, il 2025 si dovrebbe invece chiudere con 4,5-5 milioni di tonnellate.
La vendita
I commissari Fiori, Quaranta e Tabarelli stanno intanto per completare l’esame delle 15 manifestazioni di interesse giunte alla scadenza del 20 settembre, tre delle quali relative all’intero gruppo e 12 per singoli asset. Prossimo step sarà l’invio di una lettera di procedura ai gruppi che hanno superato il vaglio. Lettera che riguarderà l’accesso alla virtual data room (per la conoscenza dei dati societari) e preciserà “i termini entro i quali sarà resa disponibile la bozza di contratto di compravendita”, “contenuti necessari, termini e modalità di presentazione delle offerte vincolanti” (fine novembre), nonché “le modalità per l’espletamento di una o più fasi di rilancio cui potranno essere invitati tutti o parte degli offerenti”.
È possibile che in questa seconda fase si palesino gli ucraini di Metinvest in cordata con un gruppo italiano che potrebbe essere Arvedi. Entrambi sono stati infatti assenti dalle manifestazioni di interesse, ma Metinvest, attraverso i suoi vertici, ha dichiarato che anche se “l’ex Ilva non è la nostra priorità, resta un dossier interessante”. Invece ancora nessuna novità per l’arrivo di altra finanza ad Acciaierie dopo i 300 milioni girati da Ilva in amministrazione straordinaria e i 320 del prestito ponte del Mef autorizzato dalla Ue. Va avanti la trattativa con una banca Usa per ottenere circa 200-250 milioni.
Il preridotto
Intanto, Urso a Bari, alla Fiera del Levante, ha rivelato che Baku Steel Company (Azerbaijan), una delle tre società in corsa per acquisire tutta l’ex Ilva, si è mossa verso il Mef prima che venisse lanciata la gara per la vendita, con la proposta di una nave rigassificatrice da tenere al largo di Taranto. Ma di un rigassificatore galleggiante per alimentare di gas l’impianto del preridotto di ferro che alimenterà i futuri forni elettrici del siderurgico, Urso aveva già parlato a fine luglio con i sindacati. E il governatore di Puglia, Michele Emiliano, l’ha inserito tra i temi dell’accordo di programma da stipulare con il Governo. L’impianto di preridotto (la carica dei forni elettrici) nascerà all’interno della fabbrica ed è un progetto già finanziato con un miliardo. Oltre al gas, si userà anche una parte di idrogeno verde. Attualmente Dri d’Italia, la società pubblica a cui fa capo l’investimento, sta discutendo col ministero dell’Ambiente la convenzione che disciplinerà l’uso del miliardo, svincolato dal Pnrr e riprogrammato su altri fondi per evitare la strettoia del 2026 come fine lavori. Si prevede che la firma possa avvenire entro l’anno. Il confronto dovrebbe prendere ancora un mese e mezzo-due.
Inoltre Dri d’Italia sta discutendo con Acciaierie un memorandum d’intesa sull’impianto del preridotto. Quello a supporto del siderurgico rimarrà probabilmente l’unico a Taranto. C’era l’ipotesi di allocarne anche un secondo per i siderurgici privati del Nord ed era stata opzionata un’area della Zona economica speciale. L’opzione è però decaduta e nel frattempo è emersa l’alternativa di Ravenna dove questo secondo impianto di preridotto andrebbe a sostegno del progetto dell’Eni per la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica. Tuttavia non si esclude di posizionarlo all’estero, operazione per la quale Federacciai ha chiesto di coinvolgere “oltre che i siderurgici italiani, anche Eni, Cassa Depositi e Prestiti, Sace, Simest”, nonché di ricontrattare con la UE la quota di utilizzo di idrogeno verde. Quella prevista per questo secondo impianto la si ritiene troppo alta e infattibile (40 per cento nei primi 3 anni, 75 dal quarto, mentre per il preridotto di Taranto è il 10).
Il preridotto per i privati, però, è al momento senza finanziamento. Mentre su quello di Taranto è aperto un contenzioso al Consiglio di Stato (udienza il 21 novembre, l’appalto fu assegnato ad agosto 2023 e poi stoppato) e andrà rifatta la gara per la scelta della tecnologia.
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